Pagine

giovedì 19 novembre 2015

Le castagne al rum di Zia Bonaria


What happens on Banana Split last week? (da leggere rigorosamente con l’intonazione dello speaker della vostra serie tv preferita. Shameless? True detective? Sons of Anarchy? Breaking Bad? )
Buccetta abbandonava temporaneamente il banano per raccogliere castagne in mezzo al bosco e chiedeva alla nonnina come conservarle. E poi… diciamo chiusura della puntata con primo piano della bucciola con espressione tipo l’urlo di Munch e, ne sono certa, una suspance tale che vi ha privati del sonno.

Del tutto glissata la questione conservazione, la nonna si offre gentilmente di mandarmi le castagne del nonno, che quest’anno ce ne sono tante: “ti preparo un pacchettino”.
Giorni di trepida attesa, di refresh compulsivo del tracking, e di introspezione intensa: nun so, mi pare che la nonnina non si sia stupita delle mie avventure nei boschi, e sì che era un racconto denso di epicità. Cioè oh, 4 kg di castagne! Raccolte una per una in un bosco vero! Non a manate (rigorosamente coperte da guantino) al bosco Coop da quello strano albero con la chioma rettangolare che se lo guardi attentamente ci leggi “6€/kg”, o magari ci vedi un'altra cosa eh, dipende dalla luce e dallo stato d’animo, come con le nuvole insomma.
E poi questo glissare sul miglior sistema per non far diventare il prezioso bottino cibo per vermetti, questa risposta data tra i denti…avrò forse toccato un nervo scoperto? Riportato in superficie vecchi, brutti ricordi? Mia nonna è stata forse picchiata da un Ent Castagno?
O forse il metodo di conservazione è un segreto di famiglia che non sono degna di custodire? Forse è materia per primogeniti? O sarà perché son troppo sboccata?
Giorni da sopracciglia aggrottate e notti insonni, ma anche di trepidazione “che daidaidai che mi arrivano un paio di chiletti di castagne”

E finalmente arriva.
Un “pacchetto”? Un paccone che pare piombato. Dieci kg di castagne, ciccione, lucide, con tanto di pennacchio che manco le castagne photoshoppate in copertina sulle riviste di cucina.
Dieci kg, raccolte da un nonno 85enne, probabilmente in meno tempo di quello che è servito a me per raccoglierne quattro, e di certo senza tutti quegli “aho!” “oh povere manine” con cui le ho condite io.
L’UMILIAZIONE insomma. Vergogna e imbarazzo si, ma solo per 5 secondi netti, poi subito scalzati dall’ingordigia ma soprattutto dalla gggioia di avere questi nonnini così speciali, che dopo tutta sta fatica si son anche beccati un bell’insulto ai timpani per i miei acuti di felicità, squittii a 120db e svariate ottave sopra il normale. 

Poi, siccome non è mica giusto insultare i timpani solo dei nonni, ho chiamato anche gli adorabili zii con la cucina più prolifica dell’isola. Quelli del pranzo di natale, quelli dei gamberoni arrosto, degli spaghetti con le noci e le acciughe, quelli del mirto e del liquore alla liquirizia rigorosamente autoprodotti, quelli delle castagne al rum e delle castagne al cognac. Ecco.
E anche se su internette si trovano un sacco di versioni di questa ricetta, io l’ho scoperta e subito adorata grazie alla mia zietta, quindi queste per me sono e sempre saranno le castagne al rum di zia Bonaria 


Per due vasetti da 750ml:
1 kg di castagne
1 kg di zucchero
qualche foglia di alloro
una bacca di vaniglia
un cucchiaino di sale
un litro di acqua
200ml rum scuro bbbbono

Incidere le castagne - come per le caldarroste - metterle in pentola con le foglie di alloro e sale, coprire di acqua fredda e farle cuocere per dieci minuti; estrarre le castagne una alla volta perché non si raffreddino e sbucciarle con cura senza romperle, togliendo la buccia e la pellicina interna[1].
In una pentola larga, che possa contenerle in un solo strato, mettere l’acqua e lo zucchero, mescolando di tanto in tanto, e cuocere per quindici minuti.  Nel frattempo incidere la vaniglia per il lungo e raschiare i semini con la punta di un cucchiaino. Unire le castagne allo sciroppo insieme alla vaniglia (semini e bacche), cuocere dodici minuti, muovendo la pentola per evitare che si attacchino. Estrarre le castagne col mestolo forato, e suddividerle in vasetti. Fare raffreddare lo sciroppo, aggiungere il rum, mescolare bene, quindi versare nei vasetti coprendo bene le castagne.





[1] Dato che tenute nell’acqua calda le castagne continuano a cuocere, il trucco è cuocerne una caterva e assoldare una squadra di sbucciatori oppure cuocerne poche per volte, se si è costretti a svolgere questo ingrato compito in solitudine. Se fate come me, che ne ho lessate mille mila ma me credevo de esse la Dea Calì,  vi ritrovate che durante la seconda cottura tante castagne si rompono. E dopo tutta la fatica fatta per sbucciarle non è bello. Soprattutto per i dirimpettai che vi sentono imprecare.

giovedì 5 novembre 2015

Confettura di castagne


Sicuramente da qualche parte ho già detto quanto mi piaccia l’autunno: i boschi e i vigneti che si tingono di mille colori, il turbinio delle foglie mentre sfreccio per le vie del centro maledicendo il porfido per il non troppo delicato massaggio perineale, le ingozzate di caldarroste che, tra la voce strozzata per la troppa ingordigia e le ditate nere in faccia per l’approfondita conoscenza del bon ton, ne sono certa, mi rendono sexyssima. In una parola: poesia.
E certamente ho già sproloquiato qua e là della bellissima festa delle castagne di Valle di Soffumbergo, che qua è tutto un parlare del Törggelen altoatesino e nessuno si fila il Friuli, dove questa tradizione c’è e non ha nemmeno un nome impronunciabile: castagne, vino nuovo e passeggiate per boschi.
Io fino a quest’anno mi ero fermata giusto un attimo prima delle passeggiate, che “perché sprecare preziose kcal per camminare quando posso usarle per masticare?” ma quest’anno ho detto SI al bosco (ma sempre NO a valsoia), ed è stato meraviglioso. Le persone giuste, il clima giusto, il posto giusto, e anche le scarpe sbagliate, robe che ho rischiato di ribaltarmi quaranta volte e dopo 3 settimane ancora c’hanno tracce di fango.
E insomma, nonostante le scarpe più scivolose del globo, me ne torno a casa con le mani dilaniate ma con 4kg di castagne, tronfia come un pavone. Decido di chiamare la nonna nella ridente isola natìa per consigli sulla conservazione, e tra un Viviané e un sa sposittè, io ancora non lo sapevo, ma dietro l’angolo ad aspettarmi c’era lei: l’umiliazione. E mica solo 4kg. Ma di questo vi parlerò nella prossima puntata!


Per 5 vasetti da 250ml:
1kg castagne lesse (al netto degli scarti)[1]
500g zucchero
400ml acqua
Una bacca di vaniglia
20ml rum scuro
4cm scorza d’arancia

Incidere la bacca di vaniglia per il lungo, raschiare i semini con la punta di un cucchiaino e tenere da parte. In una casseruola -grande abbastanza da contenere le castagne-mettere l’acqua, lo zucchero, i semini e la bacca di vaniglia, e la scorza d’arancia grattugiata. Portare a bollore mescolando e far cuocere per 5’ coperto. Aggiungere le castagne spezzettate, coprire, mettere sul fuoco più piccolo a minimo e cuocere per 30-40’, finché le castagne saranno morbide. Spegnere e lasciar raffreddare, sempre coperto. Aggiungere il rum, mescolare a passare tutto al minipimer. Versare nei vasetti, chiuderli bene e metterli in una grossa pentola. Coprire di acqua fredda e portare a bollore. Far bollire per 20’, quindi lasciar raffreddare i vasetti immersi nell’acqua. Pronti per essere vestiti e riposti in dispensa ;)  





[1] Sciacquare le castagne sotto l’acqua corrente, inciderle e metterle in una pentola. Coprirle con acqua fredda, aggiungere un pizzico di sale e una foglia d’alloro. Portare a bollore e cuocere per 15’. Scolarne poche per volte, armarsi di santa pazienza ed eliminare la buccia e la pellicina esterna. Dato che tenute nell’acqua calda le castagne continuano a cuocere, il trucco è cuocerne una caterva e assoldare una squadra di sbucciatori oppure cuocerne poche per volte, se si è costretti a svolgere questo ingrato compito in solitudine. 

mercoledì 17 giugno 2015

Charlotte ai lamponi e rosa della Maison Ladurée


Io e i lamponi non abbiamo un rapporto di amore e odio, ma più di amore e paura matta.  
Quando ero solo una piccola buccettina acerba, ne avevamo una pianta in giardino, e non mancavo mai di strafogarmi di quelle piccole delizie rosse. Finchè una sera d’estate, il trauma.
Era uno di quei giorni troppo belli per essere veri, che babbo si era dimenticato di infliggerci la tortura di innaffiare le piante (una roba veramente che odiavo, prima o poi confesserò un crimine a questo proposito, ma quella è un’altra storia), uno di quei giorni che non mi ero sbucciata (ahah!) da nessuna parte e che il fratello per una qualche congiuntura astrale non era in vena di dispetti. Insomma: una magica giornata tutta gioia e innocenza.
E che c’è di meglio per concludere una giornata così se non una scorpacciata di lamponi? 
oh ma che bontà! Mmmhh gnammy! Oh, ancora uno! strano questo, tipo scricchiolaAAAAAAAAAAAAAAARRRRRRRRRRGGGGGGGGGGHHHHHH!!!!!!
Urla di bambina stracciano la quiete della biddha, ma non urla di bambina malmenata, non urla di bambina a cui hanno sgozzato il tucano peluche (io non dormivo con una bambola o un orsacchiotto, troppo mainstream: io dormivo con un tucano), molto peggio: urla di bambina che ha mangiato una cimice. Croccantina e con un sapore delizioso quanto la puzza immonda che sprigionano se le schiacci.
A niente sono valsi gli anni di terapia del Dott. Tucano Ciarlatano (qualcosa nel nome avrebbe dovuto insospettirmi, in effetti), qualcosa dentro di me quel giorno si è rotto.
Qualche lustro dopo ho conosciuto una bionda con una smodata passione per i lamponi. 
È stato amore a (quasi) prima vista.
Qualche settimana fa, dopo sette anni di amore incondizionato, di risate, di confidenze , di tagli nelle peggio osterie, dopo averle spezzato il cuore avendo preparato una torta ai lamponi per un’altra coinquilina bionda, ho sanato la frattura nel mio cuore e nel suo, ho fatto pace coi lamponi con una torta di compleanno.
Ma non con le cimici, che possano morire ammazzate.





Per una torta di 20cm diametro (10-12 porzioni. 8 secondo il libro, son fuori?)


Per i savoiardi:

60g farina 0
60g fecola di patate
5 uova intere
125g zucchero semolato
30g zucchero a velo


Per lo sciroppo profumato alla rosa:
50ml acqua
½ cucchiaio di acqua di rose
60g zucchero semolato

Per la bavarese alla rosa:
5 fogli di gelatina
3 tuorli d’uovo
30g zucchero semolato
250ml latte intero
2 cucchiai di sciroppo di rose
350ml panna fresca

Per completare:
500g di lamponi

Oltreché:
un cerchio di acciaio di 20cm di diametro e 5cm di altezza
una sac à poche con bocchetta tonda liscia da 10mm


I savoiardi: ritagliare due fogli di carta forno. Su uno disegnare due cerchi di 18 cm di diametro (si, col compasso), su un altro tirare delle linee a 6 cm di distanza l’una dall’altra (con le squadre come alle medie, esatto). Ripassare i segni con un pennarello atossico e girare i fogli di carta (il disegno si vede lo stesso e non vi magnate l’inchiostro). Rivestire due teglie a fondo perfettamente piatto con questi fogli.


Preriscaldare il forno a 170°C e nel frattempo preparare l’impasto.
Setacciare la farina e la fecola. Separare i tuorli dagli albumi. Montare gli albumi a neve ferma, aggiungere metà dello zucchero e montare ancora, finchè saranno quadruplicati rispetto al volume originale e lucidissimi. In un’altra ciotola, bella grossa, montare i tuorli con il restante zucchero (io monto sempre prima gli albumi e poi i tuorli, così non devo lavare mille volte le fruste, che sgaia eh? E non risparmiatevi: montate e montate come se non ci fosse un domani).
Aggiungere i bianchi ai tuorli, in più riprese, mescolando molto delicatamente con una spatola dall’alto verso il basso, che se no si smonta tutto e vi sarà venuto il gomito da pasticcere inutilmente. Versare la miscela delle due farine a pioggia e incorporarle all’impasto, con lo stesso movimento dall’alto verso il basso, finché il composto sarà liscio e omogeneo.
Con la sac a poche formare sul foglio con le righe una trentina di biscotti di 6 cm di lunghezza. Con un passino cospargere i biscotti di zucchero a velo. Aspettare 10’, quindi cospargere di zucchero a velo nuovamente e infornare. Cuocere per circa 10’, finchè saranno leggermente dorati. Lasciar raffreddare su una griglia. 
Sul foglio coi cerchi, sempre con la sac a poche, formare due dischi di 18 cm di diametro e infornare sempre per 10’ (in questo caso evitiamo lo spargimento di zucchero, che dà croccantezza ai biscotti: questo è utile per i biscottini che circondano la torta, ma controproducente per i dischi che stanno dentro, che devono essere morbidi e assorbire lo sciroppo). Far raffreddare su una griglia.




Lo sciroppo alla rosa: unire tutti gli ingredienti in una casseruola, mettere sul fuoco e mescolare finché lo zucchero non sarà completamente sciolto. Lasciar raffreddare.

La bavarese: mettere i fogli di gelatina in ammollo in acqua fredda per 10’. In un recipiente sbattere i tuorli con lo zucchero, fino a far sbiancare il composto.
In una casseruola, scaldare il latte e la panna insieme allo sciroppo di rose fino a farli fremere. Versare il composto a filo sui tuorli/zucchero e mescolare bene con una frusta. Rimettere tutto in casseruola e far cuocere a fuoco lento finché la crema si sarà ispessita (la temperatura deve mantenersi intorno agli 85°C, NON DEVE MAI BOLLIRE). Se non si ha il termometro regolarsi così: quando la crema vela il cucchiaio ci siamo! Toglierla dal fuoco, aggiungere la gelatina ben strizzata e mescolare bene. Versarla in una ciotola, coprire con la pellicola e farla raffreddare (io prima di assemblare la torta ho aspettato che gelificasse parzialmente: fin quando ha raggiunto la consistenza di una crema pasticcera abbastanza densa, temevo che l’impasto sarebbe sguisciato in giro).

Assemblaggio: imburrare il disco d’acciaio e rivestirlo con una striscia di carta forno (questo è utile perché dopo, quando dovrete liberare il dolce da questa cintura di castità tortesca, sarà molto più semplice sfilare il disco e poi staccare la carta forno dalla torta, e gli strati non si sbaveranno). Posizionare il disco d’acciaio al centro del piatto di portata/vassoio. Se necessario, rifilare leggermente i dischi di savoiardo, affinché abbiano un profilo regolare e si inseriscano perfettamente nel disco d’acciaio. Disporre il primo disco di savoiardo dentro il disco e, con un pennello di silicone, spennellarlo con lo sciroppo alle rose. Versare circa un terzo della bavarese, formando uno strato uniforme. Posizionare circa un quarto dei lamponi sulla crema, affondandoli delicatamente. 

Posare il secondo di savoiardo, spennellarlo, versare ancora un terzo di bavarese e ancora un quarto dei lamponi, procedendo come con il primo. Finire con la bavarese, livellando bene.
Far raffreddare in frigo per almeno due ore o comunque finché non si sarà completamente raffreddata. Poco prima di servire, togliere la torta dal frigo, liberarla dal disco e dalla carta forno, quindi appoggiare i savoiardi sui bordi, premendo delicatamente perché si attacchino. Infiocchettare il tutto, se vi piace, con un nastro di raso e decorare la superficie della torta coi 250g di lamponi rimasti. 




Note:
  • Bella, non difficile a patto di prendersi il tempo necessario per farla, anche molto buona, con una consistenza goduriosissima. Ma:
  • Un leggero retrogusto di saponetta: è leggero, ma c'è, perchè c'è. E mi ha mandato fuori di zucca. Che semo alla Lush o in cucina? OH? 
  • Nonostante io abbia sottratto dalla ricetta originale, rispettivamente 1 cucchiaio di acqua di rose e 3 gocce di olio essenziale alla rosa dalla bavarese e un cucchiaio di acqua di rose dallo sciroppo secondo me era comunque troppo. Magari era la mia acqua di rose particolarmente forte, che ne so. Prossima volta celebrerò l’amore con la vaniglia, alla facciaccia delle convenzioni sociali.  
  • Le dosi dei savoiardi: secondo il libro le dosi sarebbero dovute essere doppie.Ma io mi sono visualizzata il volume di 10 uova MONTATE e non ci sono cascata. E ho fatto bene, anche dimezzate mi è avanzato qualche biscottino. 


Ricetta tratta da "Dolce" della Maison Ladurée

giovedì 19 marzo 2015

La marmellata di arance della Robi: la più buona del mondo


Io conosco questa prelibatezza da mo (ve le ricordate queste? Popolano i miei sogni più peccaminosi. Robe che nuoto in una piscina di brioscine come Zio Paperone tra le monetine, ma lasciamo stare che è meglio).
La marmellata è di un bellissimo arancione limpido e brillante, piena di scorzette candite. Una consistenza perfetta e un sapore che babba bia oh, robe dell’altro mondo.
Avevo tentato un altro metodo e altre dosi per lamarmellata d’arance, buona eh, ma non c’è proprio paragone.

Oggi, finalmente, dopo le autorizzazioni del caso (richiesta ufficiale alla Robi, via sms, così la mia voce squittente da “perfavoreperpiacereperfavoreperpiacere *.*” traspare abbastanza da suscitare tenerezza, ma non troppo da farmi sembrare un’ebete) e dopo aver placato il mio feticismo per le etichette e le cuffiette per vasetti e i nastrini , posso pubblicare questo popò di ricetta.

Ma vogliamo far cadere così l’argomento feticismo? Davvero? Pensate che sia così crudele da farvi sentire un po’ di aroma di depravazione per poi nascondere subito il vasetto sotto l’impermeabile?
Bucciamici di poca fede.


Le cuffiette: tempo fa, in una delle mie gite a Trieste allietate da passeggiate sulle rive e da spese sconsiderate, mi sono imbattuta in una delle più belle, più fornite, più kawaii mercerie che abbia mai visto. Dopo essermi riempita le mani di scampoli e nastrini e bottoni con una foga degna di un bambino in stato di ipereccitazione da zuccheri in un negozio di caramelle, ho placcato una delle commesse:
io cercavo una stoffa….uhm…non ricordo come si chiama…è grezza, marroncina, sfilacciosa e ha un odore strano
“..la iuta?
“(/modalità topo squittente ON): siiiiiiiiiiii! (/modalità topo squittente OFF) oh se mi sentisse la mia prof di tecnica delle medie…mi aveva anche interrogato sulla iuta! Ci fanno i sacchi per il caffè! Ma che buono è il caffè qui da voi a Trieste?! Quanto mi piace Trieste! Proprio bella questa iuta, ci voglio fare le cuffiette ai vasetti di marmellata sa?”
La commessa, visibilmente rintontita dal mio stream of consciousness di baggianate, commenta con il  sorriso gentile con cui si guardano i bimbi o le ragazze in evidente stato alterato da overdose di nastrini: “eh già, avevo intuito che con tutte queste cosettine voglia farci….(voleva dire “megacazzate”, ne sono certa)…dei “lavoretti”.
E così sono andata a casa, con la borsa appesantita ma col cuore (e il portafogli) più leggero.

Le etichette: cioè no ma vi rendete conto? C’è il logo del blog, c’è un indicazione sugli effetti collaterali del contenuto (vedi ipereccitamento da zuccheri) e c’è il font degli Slayer e il riferimento a una pietra miliare del death metal. Autopromozione, musica violenta e pucciosità, concentrati in 4,84cm2 di vinile autoadesivo.
Vengono dritte per dritte da qui.

Il nastrino: semplice rafia stavolta, che se no tra vasetto, iuta ed etichetta, spendevo più per il packaging che per la marmellata, e non è etico, buon dio.

Per millemila vasetti:

6 arance navel o tarocco non trattate
1 limone non trattato
1250 mL d’acqua
1,8kg zucchero

Lavare le arance e il limone, tagliarli in quarti per il lungo e affettarli sottilmente (con la buccia eh!).
Mettere la frutta in una grossa pentola con un fondo degno di questo nome (il top sarebbe una pentola di rame, che al momento si trova nella mia lista dei desideri dal titolo “un giorno anche io avrò un reddito”) e aggiungere l’acqua. Tenere a mollo per un giorno.
Il giorno dopo sobbollire il tutto per 40/50 minuti, spegnere e aggiungere lo zucchero. Lasciare riposare per altre 24h.
Il giorno dopo ancora preparare i vasetti: lavare accuratamente i tappi e asciugarli. Mettere i barattoli in una pentola, coprirli con 10cm d’acqua, coprire e portare a ebollizione. Far bollire per 40’. Spegnere e lasciare in acqua per almeno 10’.
Nel frattempo riprendere la pentola con la marmellata, mettere sul fuoco e portare a bollore. Far cuocere a fuoco basso per 50 minuti o fino a quando supera la prova piattino. Scolare i vasetti, versarci dentro la marmellata fino a 1cm dal bordo e chiudere bene. Ribaltare i vasetti a testa in giù e far raffreddare.
Ora potete fargli i vestitini ;)


Note:
o   In casa, a meno che non abbiate un’autoclave, non si possono sterilizzare i vasetti. A questo proposito vi consiglio la lettura di queste linee guida per la corretta preparazione delle conserve in ambito domestico, rilasciata dal ministero della salute e dal centro nazionale di riferimento per il botulismo.

o   È importante che, una volta raggiunto il bollore, la marmellata cuocia a fuoco basso, così gli zuccheri non caramellano di brutto facendo diventare la marmellata scura.

mercoledì 25 febbraio 2015

Panna cotta con kumquat canditi e pistacchi [con valori nutrizionali!]


Nel mezzo di un sabato mattina
mi ritrovai per un centro cittadino assai affollato
ché la diritta via (che porta alla biblioteca) era smarrita.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta viuzza tortuosa e stretta e pien di siorette
che nel pensier rinova la paura! (ommaronna a st’esame mi bombano!)

Tant'è amara che poco è più morte;
ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,
dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.

(La commedia del sabato mattina – Buccia Alighieri)

V’ho scorto il mercato. V’ho scorto dei kumquat (mandarini cinesi, per parlare come magno, che ogni volta mi incarto a dire kumquat) che a momenti me li tiravano dietro:
“ma come una manciata?”
“…si giusto così…da mangiucchiare sui libri…”
“1,5kg, e mi dia 5€ e siamo a posto!”
E fu così che, con i mandarini cinesi in saccoccia, la luce negli occhi e una vagonata di ricci(diverso commerciante, stesso copione: “ma come mezzo kg?!...1kg e mezzo al prezzo di 1kg!”) mi diressi a casa, che ormai la via della biblioteca non era smarrita, era proprio dimenticata.
Decisi che strafogarmi 1kg e mezzo di ricci da sola sarebbe stato un po’ eccessivo persino per me, così invitai due amici a cena e poi si, con quei mandarini ci farò la marmellata domani (ma voi ve la bevete? No perché io  mi stupisco di come riesco a raccontarmela) .
Ma la diritta via era smarritissima, e la via della foga culinaria ormai era intrapresa, e nonostante i ricci da pulire, nonostante la cucina da pulire (maledetti aculei di riccio!), nonostante la doccia da fare, la marmellata l'ho fatta (questa: è una droga, io vi avverto) e già che c'ero “massì che faccio anche un dolcetto che ho tempo.. (!!!)”.
OH, ho accolto gli ospiti che il pavimento (e i miei capelli) erano ancora umidi, e sono certa che qualche aculeo in giro l’ho lasciato, ma ammazza bontà sti dolcetti! :)



Per tre porzioni:

Per la panna cotta:
250ml panna fresca
50ml latte fresco intero
45g zucchero
½ bacca di vaniglia bourbon
2 fogli di gelatina
+
3 cucchiai scarsi di pistacchi al naturale

Per il caramello all’arancia:
80g zucchero
70ml spremuta d'arancia

Per i kumquat canditi:
3 kumquat
100g zucchero
100ml acqua

I kumquat canditi: lavare i kumquat e asciugarli. Tagliarli in fettine di 3-4mm di spessore ed eliminare i semi. Tenere da parte. Versare l’acqua e lo zucchero in un pentolino, mettere sul fuoco. Non appena lo zucchero si scioglie aggiungere i kumquat, mettere il coperchio e abbassare il fuoco al minimo. Far sobbollire per una 20ina di minuti o finchè i kumquat saranno traslucidi. Lasciar raffreddare.

I pistacchi tostati: tuffare i pistacchi in acqua bollente per pochi secondi, scolarli e sbucciarli. Tostarli in forno caldo a 170°C per circa 5’: devono giusto perdere la loro umidità, non devono scurirsi, ci piace il loro verde :)

Il caramello: far scaldare bene un pentolino antiaderente (o un pentolino normale, ma con un fondo degno di questo nome), quindi spolverarci dentro metà dello zucchero, abbassare la fiamma e aspettare che si sciolga. Aggiungere la restante metà e aspettare che si sciolga bene: dev'essere completamente liquido, senza cristalli e di un bel colore dorato. Aggiungere il succo d'arancia bollente (occhio che il vapore che si forma è caldissimissimo) e amalgamare il tutto ruotando il pentolino, senza mai mescolare con mestolini e cose varie. Lasciar intiepidire, quindi versare un sottile strato di caramello nei bicchierini e riporli in frigo per un'oretta (o in freezer per 10')

La panna cotta: incidere la ½ bacca di vaniglia per il senso della lunghezza, prelevare i semini con la punta di un cucchiaino e tenere da parte. Mettere i fogli di gelatina in ammollo in una ciotola con abbondante acqua fredda per 10'. In un pentolino (meglio se antiaderente) versare il latte con ¼ della panna e la bacca (senza semini) della vaniglia, scaldare bene finché non freme, quindi spegnere il fuoco. Eliminare la bacca, aggiungere la gelatina ben strizzata e mescolare bene finché questa non si sarà completamente sciolta, dunque aggiungere la restante panna fredda e i semini della vaniglia e mescolare bene.

Assemblaggio: tirare fuori i bicchierini dal frigo: il caramello si sarà ispessito, ma non sarà duro. Dividere equamente la panna cotta tra i bicchieri e riporre nuovamente in frigo per qualche ora, finché la panna si sarà rassodata. tirare fuori una mezz’oretta prima di servire, decorando con le fettine di kumquat e i pistacchi.


Note:
-         Per i kumquat canditi, le dosi dello sciroppo sono indicative, l’importante è che il rapporto zucchero/acqua sia 1:1 e che la quantità sia sufficiente per coprire le fettine. Se avete un pentolino piccino picciò ne bastano anche meno di 100g/100ml ;)

-         Questa panna cotta è molto simile a quest’altra, che avevo fatto tempo fa (e che adoro), ho modificato però il caramello, l’ho fatto più fluido e ho omesso la scorza d’arancia, che il protagonista era il suo cuginetto mignon ;)



lunedì 9 febbraio 2015

Gnocchi farlocchi al basilico [con valori nutrizionali!]


Era più di qualche giorno che mi portavo dietro questo fardello, come una scimmia su una spalla, una tentazione fortissima, un vorrei ma non posso.
Insomma, per dirlo fuori dai denti, ero in craving per gli gnocchi.
Un delirio durato giorni con abbondanti dialoghi interiori (o forse anche esteriori, ma per questo dovreste contattare la mia coinquilina, io non so dirvi) tra una Buccia golosa e una Buccia crudele e sboccata:
mmmmhhhhh un bel piatto di gnocchi…
ma davvero? E quando li fai? Vuoi davvero smerdeggiare tutta la cucina per fare cosa, una o massimo due porzioni di gnocchi? Eh? Vuoi tenere un fornello acceso mezz’ora per lessare una patata? E al pianeta non ci pensi?
ma gli gnocchi alla sorrentina….
ma ta gazzu sorrentina, e dove lo trovi il basilico, ah? AH?

Ma poi, il mio cervellino, ma soprattutto l’ortolano, è giunto in mio soccorso, come un cavaliere medioevale in luccicante armatura (alla facciaccia tua, Buccia crudele e sboccata!).
Il mio cervellino mi ha ricordato questa ricetta, che avevo provato con successo la scorsa estate quando mi trovavo nella ridente Isola natìa: un successone.
E poi, lui, l’ortolano salvatore di donzelle in pericolo. Dopo aver fatto la consueta spesa (zucca, altra zucca, oh mi dia anche un po’ di quella zucca!), mentre mi accingo a pagare, eccolo lì, vicino alle casse, accoccolato dentro delle vaschette: IL BASILICO. A febbraio. Un miracolo fatto foglie.

L’ortolano ha riso molto della mia strappa storia lacrime (o forse rideva per aver piazzato 30g di basilico a 2€? WHO KNOWS!) e io sono tornata a casa saltellante (e sempre più delirante: “GNOCCHIIII! GNOCCHIIIII! È ARRIVATO IL MOMENTO DEGLI GNOCCHIIIIIIIIII!!!!!”).
Poi però la Buccia crudele e sboccata è tornata all’attacco e mi ha impedito di farli alla sorrentina  (“hai visto la bilancia stamattina? Ecco. C’è bisogno che ti dica dove dovresti ficcartela la mozzarella?”), ma anche così, con il basilico nell’impasto e un poco di ricotta affumicata sono uno spettacolo!

Niente da fare, ‘sti gnocchi saranno anche farlocchi ma sono una figata. Hanno la consistenza degli gnocchi veri, il sapore è un po’ diverso certo, le patate non ci sono, ma non si sporca niente, si fanno in fretta e si lavorano che è una meraviglia.
Se non l’avete ancora fatto, provateli e andate e per tutto il mondo e predicate la ricetta degli gnocchi farlocchi ad ogni creatura; chi ha creduto e li avrà provati, sarà salvato; ma chi non ha creduto, sarà condannato a una cucina smerdeggiata.

Per tre porzioni mini come in foto o due più serie:  
Per gli gnocchi:
180g farina
180ml acqua
Un generoso pizzico di sale
8-10 foglie di basilico

Per condire:
400g pomodori datterini in barattolo (grazie Despar premium)
un cucchiaio d’olio EVO
1 scalogno
Un pizzico di sale
4-6 foglie di basilico
3 cucchiai di ricotta affumicata grattugiata


Gli gnocchi: in un pentolino, meglio se antiaderente, portare a bollore l’acqua con il sale. Versarci la farina tutta insieme, abbassare il fuoco e mescolare subito e vigorosamente con un cucchiaio di legno. Non appena il composto forma una palla (non preoccupatevi se è un po’ grumosa), spegnere il fuoco e ribaltare il composto sulla spianatoia (non infarinata) e impastare rapidamente (siete liberi di imprecare un po’, l’impasto è molto caldo, sarete scusati), finché il composto sarà liscio e omogeneo.
Formare una palla con l’impasto e farla riposare sotto una ciotola capovolta per una ventina di minuti.
Lavare e asciugare il basilico e tritarlo finemente.
Asciugare eventuale condensa che si è formata sulla spianatoia e riprendere l’impasto: appiattirilo un po’ e mettere al centro il basilico, quindi lavorare bene perché si distribuisca uniformemente. Staccare dei pezzi dall’impasto, formare dei filoncini spessi come un mignolo e tagliarli in pezzetti di circa 1cm e ½ (la mia spianatoia è centimetrata, quindi io li faccio VERAMENTE di 1,5cm. Avete ancora dubbi sul fatto che deliri?). 

Dare la classica forma di gnocco rotolando i pezzetti su uno riga gnocchi o sul ventre di una forchetta.
Lasciare gli gnocchetti ad asciugare sulla spianatoia e nel frattempo preparare il sugo.

Il sugo: in un pentolino versare l’olio e lo scalogno tritato. Mettere sul fuoco piccolino, a minimo, col coperchio, e far stufare dolcemente per 5’. Schiacciare i datterini con un mestolo di legno e aggiungerli nella pentola. Coprire e far sobbollire piano piano per una mezzoretta. Spegnere e aggiungere il basilico spezzettato.

Here we go: lessare gli gnocchi in abbondante acqua salata, scolarli non appena vengono a galla e saltarli qualche istante nel sugo. Impiattare e servire con una grattata di ricotta affumicata e qualche foglia di basilico.

venerdì 6 febbraio 2015

Zuppa di zucca, castagne e porcini [con valori nutrizionali!]


Ci sono giorni in cui la forza non scorre affatto potente in me. 
Giorni in cui chissà perché in quel reparto il tirocinio si inizia prestissimo, e io scopro che le 6 non è solo l’ora perfetta per un taglio, ma è anche l’ora (decisamente inadeguata) per una colazione ancor più bradipesca e yaaaaaawwwwnnn del solito. Giorni in cui gli dei mi odiano, ma soprattutto il dio pluvio che ci gode tantissimo a vedermi scapicollare in bicicletta mentre scopro che è inutile avere la mantellina se subisci il fascino magnetico delle pozzanghere: grandi o piccole, limpide o fangose, io, è evidente, non so resistervi.

In giorni come questi, quando diciamocelo, le soddisfazioni della vita non sono esattamente abbondanti, non resta che consolarsi, scaldarsi, illuminarsi e tornare felici con una zuppa.
Se poi la zuppa è quella di oggi, così buona, così saporita, così “mmmmhhhh mò te magno tutta!” anche dover raccattare monetine dal fondo dello zaino per andare a comprare un cucchiaio (che figurati tra una yaaaaaawwwwn e l’altro mi son ricordata di prenderlo) non vi farà tirar giù porchi ma solo acciderboline.
Questa, ve lo dico, entra dritta per dritta nel podio delle best soups EVER.  


Per 3-4 persone:
1 fetta di pancetta[1]
1 cipolla rossa, pelata
½ kg zucca delica o mantovana[2]
1     rametti di rosmarino
25g porcini secchi
200g caldarroste o castagne lesse già pronte[3]
½ peperoncino
600ml brodo di pollo o brodo vegetale
3-4 fette di pane casareccio
Un mazzetto di salvia
Sale & pepe
2 cucchiai d’olio EVO + 1 cucchiaio per il pane

Tritare grossolanamente la pancetta e la cipolla in pezzi di circa 1cm;
sbucciare la zucca, privarla dei semi e dei filamenti e tagliarla a cubetti di circa 1cm;
tritare finemente gli aghetti del rosmarino, dopo aver eliminato il rametto facendogli il contropelo (a lui non piacerà, ma a me si!);
mettere a bagno i porcini in una tazza di acqua ben calda, quando saranno morbidi (minimo sindacale 15’), scolarli (tenere da parte il liquido) e tritarli grossolanamente.
Mettere la pancetta in una casseruola insieme all’olio, su fuoco alto. Dopo circa 1’, quando la pancetta inizierà a dorarsi, aggiungere il rosmarino, le castagne sbriciolate grossolanamente con le mani e il peperoncino. Proseguire la cottura, mescolando frequentemente, per circa 3-4’.
Aggiungere i funghi, la cipolla e la zucca.  Proseguire la cottura, mescolando frequentemente, per circa 10’, quindi aggiungere circa metà dell’acqua dei funghi e il brodo. Portare a bollore, spostare sul fuoco più piccolo, e far sobbollire per circa 40’.
Nel frattempo condire il pane con un filo d’olio, sale e pepe, strofinarci sopra la salvia e lasciarla sopra, quindi far dorare in forno caldo per qualche minuto.
Assaggiare la zuppa, regolare di sale e pepe e servire con il pane. 
Attenzione: crea dipendenza.

Valori nutrizionali per porzione: 


Ricetta tratta da "Jamie's Great Britain" di Jamie Oliver




Note:
[1] Io l’ho fatta sia con che senza: non voglio mentire, con è più buona, ma senza dà comunque grandi soddisfazioni e meno sensi di colpa :P
[2] Jamie consiglia la butternut, ma secondo me solo perché negli UK non ci sono la delica e la mantovana :P
[3] Io purtroppo ho scoperto questa meraviglia solo quando il tempo delle castagne era finito, ho usato quelle in pacchetto della noberasco: è fantasmagorica così, non oso immaginare con le caldarroste *.*

La ricetta originale prevede anche una manciatina di riso o orzo perlato (da aggiungersi insieme alle cipolle e alla zucca), ma io di solito, dato che la faccio per poi mangiarla il giorno dopo in università, non ce lo metto che se no si gonfia tutto e mi viene una sbobba e vi dirò, mi piace persino di più senza, è ancor più un concentrato di sapori!

giovedì 15 gennaio 2015

Frollini alla nocciola con una mano sola!


Per provare che questi biscottini sono davvero semplicissimi da fare, ho fatto un esperimento. Mi sono messa effettivamente nelle condizioni di farli con una mano sola. Tutto calcolato, certo, e tutto per nobili fini di onestà scientifica.
Long story short: Buccia e l’entusiasmo incontenibile per un nuovo, affilatissimo, coltello. “ammazza che lama, e mioddio che filo! Senti qua… AHIA!”.
Sono castigata? Sono curiosa come una bertuccia anche quando si tratta di lame? O forse il mio attaccamento al metodo scientifico è veramente viscerale?
Ai posteri l’ardua (!!!) sentenza.
Su una mia caratteristica invece non c’è alcun dubbio: sono golosa di biscotti come un panda del bambù, e in effetti la mattina io e il panda ci somigliamo assai (babbabia quanto odio struccarmi la sera), e anche sul fronte stazza le analogie si fanno preoccupanti! D:
Per me inizia un periodo di magra, tutto cibo salutare, corse in bicicletta al freddo e palestra, ma lasciatemi sognare riguardando queste foto! 

E a voi altri che avete animali totem più snelli, godetevi questi biscottini nocciolosissimi! :)




Per circa 600g di biscotti:
200g farina 00
100g nocciole
150g zucchero di canna
150g burro
1 tuorlo
1 uovo intero
1 pizzico di sale

Rivestire una teglia con della carta forno e disporci le nocciole in un unico strato. Tostare in forno preriscaldato a 180°C per 10’. Lasciar raffreddare le nocciole, quindi sfregarle con uno strofinaccio per togliere le pellicine (o la maggior parte di esse ;) ). Tritare le nocciole nel mixer fino a ridurle in farina, azionando il suddetto aggeggio infernale ad impulsi in modo che non si scaldino rilasciando il loro olio.
Mescolare la farina, la farina di nocciole, lo zucchero e il pizzico di sale e fare una fontana, disporvi al centro il burro morbido a fiocchi (la temperatura ideale sarebbe intorno ai 15°C: io faccio come mi ha insegnato la mia adorabile zia Bò: quando sento la voglia di biscotti che mi monta dentro tiro fuori il burro, e il giorno dopo impasto!) e amalgamare con la punta delle dita fino ad ottenere un impasto che ha la consistenza della sabbia bagnata. Aggiungere quindi il tuorlo e l’uovo e impastare rapidamente, quel poco che basta per tenere l’impasto insieme, se non è perfettamente omogeneo non importa.

Mettere l’impasto ottenuto tra due fogli di carta forno e stendere leggermente l’impasto, fino a uno spessore di circa 2cm (questo passaggio ha l’unica funzione di far raffreddare il tutto in modo omogeneo in tempi non biblici), quindi avvolgere con pellicola e schiaffare in frigo per minimo 2h, meglio una notte.
Stendere ulteriormente l’impasto tra due fogli di carta forno (si sporca meno, si stende meglio e i biscotti si staccano con più facilità ;) ) a uno spessore di ½cm scarso. Far riposare la sfoglia per una 20ina di minuti in freezer.
Ritagliare i biscotti con formine più o meno animalesche e più o meno kawaii e far riposare ancora in freezer per 20’.

Staccare i biscottini, disporli su una teglia foderata di carta forno leggermente distanziati l’uno dall’altro. Far riposare i biscotti con tutta la teglia in freezer per 20’ (ultimo riposino al fresco, giuro!).
Cuocere in forno caldo a 180°C per 10-12’, finchè saranno leggermente dorati (non fatevi ingannare dal colore scuretto delle nocciole, guardate i bordi: quando sono un po’ più colorati del resto della bestia, verosimilmente le bestie sono pronte da sfornare ;) ).
Lasciar intiepidire, quindi spostarli dalla teglia a una griglia e farli raffreddare completamente (così anche quel minimo di umidità evapora e si conservano croccanti e fragranti ;) ).
Conservare in un contenitore a chiusura ermetica e sgranocchiare al bisogno.